Martina Oppelli, un’architetta triestina di 50 anni, ha intrapreso il suo ultimo viaggio in Svizzera, dove ha scelto di porre fine alle sue sofferenze attraverso il suicidio assistito. Questa tragica decisione è stata resa pubblica dall’associazione Luca Coscioni, che ha supportato Martina durante il suo lungo e doloroso percorso, culminato in una clinica svizzera. Il suo viaggio è stato segnato da un profondo desiderio di libertà e autodeterminazione, ma anche da un’ingiustizia che l’ha costretta a cercare aiuto oltre i confini italiani.
Martina soffriva di sclerosi multipla progressiva da oltre vent’anni, vivendo in una condizione di totale dipendenza dai suoi caregiver per ogni aspetto della vita quotidiana. Le sue condizioni erano diventate insostenibili, tanto che in un’intervista aveva affermato: «Io non sopravvivo senza una persona vicina». La sua decisione di ricorrere al suicidio assistito è stata il risultato di una profonda riflessione e di una vita di sofferenze.
Le difficoltà nel richiedere il suicidio assistito in Italia
La richiesta di Martina per accedere al suicidio assistito in Italia era stata respinta tre volte dall’Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina. Il 4 giugno ha ricevuto il terzo diniego, in cui le autorità sanitarie sostenevano che le sue condizioni non rientravano nei criteri stabiliti dalla Corte costituzionale. Secondo la valutazione dell’Asl, Martina non era sottoposta a “trattamenti di sostegno vitale”, una definizione che lei stessa ha definito assurda e disumana. In un momento di frustrazione, aveva dichiarato: «Se mi sbilancio in avanti con la testa, non riesco nemmeno a raddrizzarmi da sola».
Nonostante i suoi sforzi per ottenere giustizia attraverso ricorsi e diffide, il suo desiderio di liberarsi dalle sofferenze era così intenso che non poteva più aspettare una risposta definitiva. L’associazione Luca Coscioni ha spiegato che «le sue sofferenze non erano più tollerabili», condividendo anche un ultimo video messaggio di Martina.
Un dibattito urgente sulla legislazione sul fine vita
La vicenda di Martina Oppelli ha riaperto un dibattito significativo sulla questione del fine vita in Italia. L’assenza di una legislazione chiara e equa sul suicidio assistito continua a costringere molte persone a vivere sofferenze insopportabili, portandole a cercare soluzioni all’estero. Le testimonianze di chi, come Martina, ha dovuto affrontare questa dolorosa scelta evidenziano l’urgenza di una legge che riconosca il diritto all’autodeterminazione.
Domani, 2 luglio, si terrà una conferenza stampa all’Antico Caffè San Marco di Trieste, dove si riuniranno importanti figure come Marco Cappato e Claudio Stellari per ricordare Martina e discutere dell’importanza di una legislazione sul fine vita. Questa conferenza sarà un’opportunità per rinnovare l’appello a una riforma legislativa necessaria, capace di garantire i diritti delle persone in condizioni simili a quelle di Martina.
Negli ultimi anni, il dibattito sul fine vita ha guadagnato attenzione a livello politico, con diverse proposte di legge presentate in Parlamento. Tuttavia, le resistenze culturali e le divergenze ideologiche hanno ostacolato un progresso significativo. La storia di Martina rappresenta un esempio lampante delle conseguenze di questa stagnazione legislativa. La sua voce, unita a quella di molti altri, chiede di non essere ignorata.
La lotta di Martina e delle persone come lei non è soltanto per il diritto di scegliere come e quando morire, ma è anche una questione di dignità umana. La sua decisione di rivolgersi alla Svizzera, dove il suicidio assistito è regolato da leggi più permissive, mette in evidenza non solo la mancanza di opzioni in Italia, ma anche il bisogno di un cambiamento culturale profondo.
Il suo viaggio si è concluso lontano dalla sua Trieste, ma il messaggio che lascia è chiaro: è necessario un cambiamento. La vita e la morte di Martina devono servire come monito per le istituzioni italiane, affinché si adoperino per garantire che ogni persona possa avere accesso a un fine vita dignitoso e scelto.