L’estate 2023 si sta rivelando una stagione drammatica per gli amanti della montagna. Maurizio Dellantonio, presidente del Soccorso Alpino Nazionale (CNSAS), ha tracciato un bilancio allarmante: «Io, un’estate così, con tanti morti in montagna, non me la ricordo. Siamo oltre ogni limite». Le statistiche parlano chiaro: tra il 21 giugno e il 23 luglio, si sono registrati 83 decessi e 5 dispersi, il che equivale a quasi tre incidenti mortali al giorno. Questo segna un incremento del 20% rispetto alla media degli interventi, un dato che evidenzia una situazione mai vista prima.
La Val di Fassa e l’aumento degli incidenti
La Val di Fassa, una delle località più frequentate delle Dolomiti, è stata particolarmente colpita. Dellantonio, che continua a partecipare attivamente alle missioni di salvataggio, racconta di come i soccorsi siano ormai quotidiani, con un ritmo che può raggiungere anche 6-8 interventi al giorno. La montagna, con i suoi paesaggi mozzafiato e l’aria fresca, è diventata un rifugio per molti, ma questo afflusso di turisti ha portato anche a una certa superficialità.
Il presidente del CNSAS denuncia un comportamento sempre più diffuso tra coloro che si avventurano in alta quota: «La gente sale senza esperienza, senza equipaggiamento, senza consapevolezza dei propri limiti». Questa mancanza di preparazione ha portato a una predominanza di malori e scivoloni fatali tra gli escursionisti, che rappresentano il 60% delle vittime. Il restante 40% è costituito da alpinisti, biker e paracadutisti, molti dei quali ignorano i pericoli e le insidie della montagna.
Comportamenti irresponsabili e il costo del soccorso
Un episodio emblematico è quello di un giovane cuoco trentenne, soccorso recentemente in Val Senales dopo aver tentato di raggiungere Cima Palla Bianca (3.600 metri) indossando semplici scarpe da ginnastica. «A 3.100 metri ci ha chiamati perché stava congelando», racconta Dellantonio, evidenziando la gravità della situazione.
Il Soccorso Alpino, in collaborazione con il 118 e la Guardia di Finanza, riesce ancora a gestire questa emergenza, ma la pressione sui soccorritori è diventata insostenibile. «Molti non sanno nemmeno che il salvataggio può essere a pagamento», spiega Dellantonio. In Trentino, il costo per un intervento di soccorso può arrivare a 750 euro, mentre in Veneto si può superare il millennio se il recupero avviene in condizioni di salute ottimali. Tuttavia, sorprendentemente, metà delle persone salvate si rifiuta di pagare anche dopo essere state messe in salvo.
Il ruolo dei social media e la necessità di educazione
Un altro fattore che contribuisce a questa situazione è l’uso dei social media. Secondo Dellantonio, la moda di condividere immagini di vette conquistate sta portando a una serie di emulazioni pericolose. «Uno fa una foto in vetta, il giorno dopo qualcun altro vuole emularlo. Ma senza prepararsi», commenta il presidente. Questo porta a un comportamento irresponsabile, con escursionisti che si avventurano in montagna senza l’equipaggiamento necessario, come mantelle, cambi di vestiti o acqua. Solo un escursionista su due porta con sé un guscio antipioggia, mentre l’importanza di avere un cellulare carico con l’app GeoResQ, che permette di localizzare chi è in difficoltà, viene spesso ignorata.
La tragedia di un 15enne trovato morto in Valle d’Aosta dopo essersi perso è un altro campanello d’allarme. «Non si va mai da soli in montagna. E in quel caso ci saranno conseguenze anche per i genitori. Bisogna essere severi», afferma Dellantonio, sottolineando la necessità di educare i giovani e le famiglie sui rischi legati alle escursioni.
In questo contesto di emergenza, è fondamentale risvegliare una coscienza collettiva riguardo alla sicurezza in montagna, promuovendo una cultura della preparazione e del rispetto delle proprie capacità. La montagna, pur essendo un luogo di bellezza e avventura, richiede prudenza e responsabilità da parte di chi decide di affrontarla.