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Marina Boer, presidente delle Mamme Antifasciste, si trova al centro di una controversia che ha catturato l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica. La questione riguarda la somma di circa 3 milioni di euro che il Ministero dell’Interno italiano, il Viminale, pretende da lei per il risarcimento relativo al centro sociale Leoncavallo, un storico spazio culturale di Milano. In un’intervista rilasciata all’edizione milanese del Corriere della Sera, Boer ha chiarito la sua posizione: «Non ho questi soldi. Vivo di pensione. Come pensano di potersi rivalere su di me?»
La controversia ha origine da una recente sentenza che ha condannato il Viminale a risarcire il gruppo Cabassi, proprietario dell’immobile occupato dal Leoncavallo per oltre 30 anni. Il 26 marzo, in conformità alla sentenza, la Prefettura di Milano ha versato ai Cabassi la somma di circa 3 milioni e 175 mila euro. Questa decisione ha sollevato un’ondata di critiche e preoccupazioni tra coloro che sostengono il Leoncavallo e il suo operato.
Secondo il Viminale, l’esborso è avvenuto a causa dell’inottemperanza dell’associazione al provvedimento di sfratto, il quale avrebbe dovuto essere eseguito negli anni precedenti. Poiché l’associazione non dispone di un patrimonio, la responsabilità del pagamento è ricaduta su Boer, che ora rischia il pignoramento dei suoi beni personali. «Questa ingiunzione dimostra un atteggiamento di chiusura da parte del Ministero nei nostri confronti», ha sottolineato Boer, aggiungendo che ridurre la questione a una vicenda personale tra lei e il Viminale non rende giustizia alla realtà storica e collettiva del Leoncavallo.
Il centro sociale Leoncavallo, fondato nel 1988, è diventato un simbolo della cultura alternativa e dell’attivismo sociale a Milano. Ha ospitato concerti, spettacoli teatrali e attività di vario genere, diventando un punto di riferimento per molti giovani e artisti. Boer ha chiarito che senza spazi come il Leoncavallo, Milano rischia di diventare «un manichino vuoto», privo di vitalità culturale e sociale.
Boer ha inoltre ribadito che la sua associazione non ha ostacolato l’esecuzione dello sfratto. «Non è colpa nostra se lo sgombero non è stato eseguito in questi anni», ha affermato. Questa posizione è supportata dall’avvocato Mirko Mazzali, che ha frequentemente difeso il Leoncavallo. Mazzali ha commentato: «Credo sia difficile dimostrare che il Viminale non ha potuto eseguire lo sfratto per colpa delle mamme del Leoncavallo».
Attualmente, il Ministero dell’Interno si trova nella posizione di dover intentare una causa civile per recuperare la somma versata ai Cabassi, mentre un nuovo tentativo di sfratto è previsto per il 15 luglio. La Prefettura ha espresso l’intenzione di completare lo sgombero entro la fine dell’anno, ma la situazione rimane tesa e incerta. Nel frattempo, il Comune di Milano ha offerto all’associazione uno stabile in via San Dionigi, situato a Porto di Mare, come possibile alternativa. Tuttavia, per rendere operativo il nuovo spazio, sono necessari interventi di riqualificazione che comportano ulteriori costi, stimati in circa 3 milioni di euro.
In risposta a questa nuova sfida, l’associazione delle Mamme Antifasciste sta considerando l’idea di lanciare una raccolta fondi per affrontare le spese necessarie per la riqualificazione del nuovo spazio. Questa iniziativa potrebbe rappresentare una possibilità per continuare il loro lavoro e le attività culturali che hanno caratterizzato il Leoncavallo per tre decenni. La presidente Boer ha espresso la sua determinazione a non arrendersi, sottolineando l’importanza di mantenere viva l’eredità culturale e sociale del centro.
La situazione del Leoncavallo e della presidente Boer riflette un dibattito più ampio su come le istituzioni gestiscono gli spazi occupati e il valore che attribuiscono a forme alternative di cultura e socialità. Mentre il Viminale cerca di far rispettare la legge, molti cittadini e attivisti si chiedono quale sia il costo sociale di tali azioni e se il rispetto della legalità debba sempre prevalere su considerazioni più ampie di valore comunitario e culturale.
La questione del Leoncavallo è quindi emblematicamente rappresentativa di tensioni più profonde all’interno della società italiana contemporanea, dove il diritto alla cultura e alla socialità si scontra con le rigidità burocratiche e legali. In questo contesto, la figura di Marina Boer emerge non solo come leader di un’associazione, ma anche come portavoce di una generazione che lotta per mantenere vivo il proprio patrimonio culturale e sociale, sfidando le convenzioni e le aspettative del sistema.
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