La Procura di Catania ha deciso di presentare un ricorso contro la sentenza di assoluzione di Santo Torrisi, un professore universitario accusato di violenze sessuali e molestie verbali nei confronti di otto studentesse tra il 2010 e il 2014 all’ospedale Vittorio Emanuele-Ferrarotto. Questo caso ha suscitato notevole attenzione mediatica e sociale, non solo per la gravità delle accuse, ma anche per la lunghezza del processo che ha impiegato ben nove anni per arrivare a una sentenza di primo grado.
Inizialmente, il docente era stato assolto dalle accuse, in parte a causa della prescrizione di alcune di esse e in parte per il modo in cui il tribunale ha interpretato i fatti. Secondo i giudici, sebbene fosse vero che il professore aveva “appoggiato i palmi al seno” delle studentesse, non era stata dimostrata una “pressione particolare delle mani”, un dettaglio che ha sollevato polemiche e critiche da parte della pubblica accusa.
Un processo lungo e complesso
Il ricorso presentato dalla Procura evidenzia l'”inaccettabile decorso del tempo” del processo, un aspetto che ha influito negativamente sulle vittime e sui testimoni. Questo lungo iter giuridico ha portato i pm a sottolineare come il tempo trascorso abbia “creato un danno alle parti offese” e abbia inciso sui ricordi dei testimoni, che potrebbero aver visto alterata la loro capacità di fornire testimonianze precise a causa del lungo intervallo temporale.
La durata di nove anni per una sentenza di primo grado è, di per sé, un fatto che solleva interrogativi sull’efficienza del sistema giudiziario. In genere, i processi per reati sessuali richiederebbero un’attenzione particolare e una gestione più rapida, dato il delicato impatto che tali eventi hanno sulle vittime.
Le contraddizioni della sentenza
Nel ricorso, la Procura sottolinea un “insanabile vizio logico di contraddizione interna” nella motivazione della sentenza di assoluzione. Nonostante il tribunale avesse riconosciuto la presenza di un “comportamento predatorio e ossessivo” da parte del professore, che “sceglieva come oggetto del suo desiderio sessuale” le studentesse, ha concluso che non c’era prova sufficiente del dolo. Questa apparente contraddizione ha sollevato interrogativi sulla coerenza del ragionamento giuridico e sulla capacità del sistema di affrontare con serietà tali accuse.
In particolare, i pm contestano il fatto che, pur avendo riconosciuto la prova del “delirio sessuale” dell’imputato, il tribunale sia giunto alla conclusione che non vi fosse sufficiente evidenza per dimostrare la violenza sessuale. Questo ha portato a un appello che richiede una revisione approfondita del caso e delle evidenze presentate.
Le testimonianze delle vittime
Un elemento cruciale del processo è stato rappresentato dalle testimonianze delle otto giovani donne che hanno denunciato il professore. Durante il processo di primo grado, ognuna di loro ha descritto in modo convergente e dettagliato le violenze subite, pur non conoscendosi tra loro al momento dei fatti. Questo aspetto ha sollevato interrogativi sulla credibilità del professore, dato che le similitudini nelle testimonianze suggerivano un modello di comportamento ripetitivo da parte di Torrisi.
Le testimonianze sono state descritte come “puntuali” e con riferimenti a “specifici particolari”, elementi che, secondo la Procura, avrebbero dovuto essere considerati in un contesto più ampio anziché essere analizzati come singoli dettagli. Questo approccio, secondo i pm, ha condotto a una sottovalutazione della gravità delle accuse e delle esperienze vissute dalle vittime.
Il contesto sociale e giuridico
Questo caso non è isolato; si inserisce in un contesto più ampio di crescente attenzione alle problematiche legate alla violenza di genere e agli abusi sessuali. Negli ultimi anni, il movimento #MeToo ha portato a una maggiore consapevolezza e a una spinta per riformare le leggi che riguardano i crimini sessuali, cercando di garantire che le vittime siano ascoltate e che i colpevoli siano perseguiti con rigore.
Le istituzioni italiane, compresi i tribunali e le forze dell’ordine, sono state chiamate a riflettere su come trattare questi casi con maggiore sensibilità e celerità. La lunghezza del processo di Torrisi ha sollevato interrogativi sulla capacità del sistema giudiziario di affrontare con serietà e urgenza le denunce di violenza sessuale, aspetti che potrebbero contribuire a una cultura della denuncia più aperta e sicura.
L’attenzione mediatica su questo caso e il ricorso della Procura potrebbero rappresentare un’opportunità per riaccendere il dibattito sulla giustizia in materia di abusi sessuali, evidenziando la necessità di un sistema legale più efficace e sensibile alle esigenze delle vittime.