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Il recente Decreto Sport, approvato dal Consiglio dei Ministri, introduce una novità significativa nel panorama calcistico italiano: la possibilità per i club di stipulare contratti professionistici della durata massima di otto anni. Questa modifica rappresenta una rottura rispetto alla legislazione vigente, che limitava la durata dei contratti a cinque anni, in linea con la Legge 91/81 e il successivo decreto legislativo 36/2021. Sebbene la misura possa sembrare un passo avanti per la protezione delle società, il suo impatto sul piano contabile e finanziario rimane limitato, specialmente per quanto riguarda il rispetto delle normative UEFA.
L’introduzione di contratti più lunghi ha l’obiettivo di tutelare le società dai rischi di fughe anticipate dei calciatori. Questo rischio è diventato particolarmente evidente dopo la sentenza riguardante il calciatore Lassana Diarra, che ha messo in luce le vulnerabilità delle società di fronte all’articolo 17 del Regolamento FIFA sullo status del giocatore. Questa norma consente ai calciatori di rescindere unilateralmente il contratto dopo:
La sentenza Diarra ha dimostrato quanto possa essere facile per i calciatori sfruttare questa possibilità, lasciando le società in una posizione precaria.
Con la nuova normativa, le società possono ora stipulare contratti di durata fino a otto anni, offrendo una maggiore protezione e stabilità. Tuttavia, è importante notare che, per poter beneficiare di contratti così lunghi, le società potrebbero dover proporre compensi elevati, rendendo la misura più vantaggiosa per i calciatori che per i club stessi. La durata estesa dei contratti potrebbe infatti essere vista come una sorta di “muro difensivo” contro le fughe, ma senza il giusto equilibrio economico potrebbe rivelarsi poco efficace.
D’altra parte, l’impatto contabile di questa novità è limitato a causa delle normative UEFA, che stabiliscono che l’ammortamento del costo di un cartellino deve avvenire su un massimo di cinque stagioni. Questa regola è stata ulteriormente rinforzata nel 2023, quando la UEFA ha stabilito che il costo di un giocatore deve essere ripartito su un massimo di cinque anni, garantendo così una parità di trattamento tra i club e migliorando la sostenibilità finanziaria nel lungo termine.
In conclusione, la possibilità di stipulare contratti fino a otto anni rappresenta un tentativo di proteggere i club dalle fughe anticipate dei calciatori, ma senza una modifica alle regole UEFA riguardanti l’ammortamento, l’impatto reale di questa misura resta limitato. Le società dovranno trovare un equilibrio tra l’offerta di contratti più lunghi e la necessità di garantire una sostenibilità finanziaria. Inoltre, sarà fondamentale monitorare come questa novità si evolverà nel contesto del calcio europeo e quale sarà la risposta della FIFA e delle altre federazioni nazionali. Con il mondo del calcio in continua evoluzione, è evidente che le società si trovano a dover affrontare sfide sempre più complesse, che richiedono una gestione accorta e lungimirante delle risorse.
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