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La recente assoluzione del professor Santo Torrisi, docente di medicina all’Università di Catania, ha acceso un acceso dibattito sulla credibilità delle vittime e sul trattamento riservato a chi denuncia abusi. Nonostante le testimonianze di sette studentesse, i giudici hanno stabilito che non vi erano prove sufficienti per condannare il professore, il cui comportamento è stato descritto come “predatorio”. Questo esito ha suscitato indignazione e dolore tra le denunciatrici, in particolare in Micol, una delle ragazze che ha avuto il coraggio di parlare.
Micol ha condiviso la sua esperienza con Repubblica, descrivendo le emozioni provate durante il processo e il momento della sentenza. “Ad ogni passaggio la cicatrice si allargava”, ha dichiarato, esprimendo il dolore che ha portato con sé. “Oggi, però, sono grande e il dolore per quello che ho subito da un professore quando ero una ragazza, so portarlo con me. Come fosse una borsetta.” Questa metafora evidenzia il peso emotivo che molte vittime di abusi devono gestire, un peso che non si allevia facilmente anche dopo aver cercato giustizia.
La testimonianza di Micol è stata ricca di dettagli inquietanti. Ha descritto episodi in cui il professor Torrisi si sarebbe comportato in modo inappropriato, toccandola e facendole proposte sessuali in cambio di favori accademici. Queste accuse, corroborate da altre sei testimonianze simili, sono state messe in discussione durante il processo. Micol ha notato un atteggiamento di favore verso la difesa, osservando che i giudici sembravano più interessati alle argomentazioni degli avvocati del professore.
Micol ha anche spiegato la sua decisione di redigere la tesi di laurea con il professor Torrisi, un fatto utilizzato contro di lei per mettere in dubbio la sua credibilità. La scelta di lavorare con lui era stata strategica: “Era l’unico modo per scappare da lui”. Questa testimonianza mette in luce la complessità delle scelte che le vittime di abusi devono affrontare, spesso senza che queste decisioni vengano comprese da chi osserva.
Le intercettazioni telefoniche emerse durante le indagini hanno rivelato che Micol e altre ragazze avevano condiviso informazioni su come presentare le loro denunce. Micol ha chiarito che il loro intento non era di inscenare un “teatrino”, ma di cercare supporto in un momento di vulnerabilità. “Eravamo sette ragazze spaventate, a cui stavano portando via la giovinezza”, ha detto, evidenziando il senso di impotenza che molte vittime avvertono.
Dopo la sentenza di assoluzione del professor Torrisi, Micol ha espresso il suo dolore e la sua frustrazione. “La cicatrice fa male, ma voglio metterci ancora il cuore sopra”, ha affermato, sottolineando la difficoltà di vivere con il peso di un’esperienza traumatica senza giustizia. A differenza del professore, che ha festeggiato la sua assoluzione, le vittime sono tornate a essere messe in discussione.
Questo caso ha messo in luce la necessità di una riflessione profonda sulla cultura della denuncia e su come la società trattiene la voce delle vittime di abusi. La strada verso la giustizia è tortuosa e piena di ostacoli, e la speranza è che storie come quella di Micol possano contribuire a un cambiamento culturale, affinché le vittime siano ascoltate e credute, e affinché la giustizia possa finalmente prevalere.
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